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L’arresto cardiaco dopo l’incidente stradale mortale del marito

L’arresto cardiaco dopo l’incidente stradale mortale del marito

Alle volte, insorgono, a causa della sofferenza morale e del dolore per la perdita di un proprio caro, anche patologie fisiche e psicofisiche, che possono essere molto invalidanti per la persona.

Così, nel risarcire il congiunto della vittima della strada si stima, per quanto possibile, anche il doloroso patimento emotivo e morale conseguente alla scomparsa del proprio caro, valutando, caso per caso, pure le eventuali turbative psico – fisiche insorte.

Ma cosa succede se il congiunto della vittima muore a causa del dolore cagionato dalla prematura scomparsa del proprio caro?

Vi è una qualche responsabilità?

Il tema è stato, da sempre, molto dibattuto in dottrina e in giurisprudenza, in quanto il nostro Ordinamento richiede necessariamente che il danno sia conseguenza immediata e diretta dell’evento dannoso.

Di recente, poi, la Suprema Corte (Cass. Civ., Sez. III, 23 giugno 2015, n. 12923) è stata chiamata ad occuparsi nuovamente dell’argomento, affrontando un caso molto singolare.

Si trattava, infatti, del decesso di una persona per un arresto cardiaco, verificatosi in conseguenza della morte del marito della stessa, rimasto vittima di un sinistro stradale.

Per dovere si cronaca, occorre segnalare che nel caso affrontato dai Giudici di Legittimità la signora, che era affetta da un tumore terminale ed era ricoverata in ospedale, ricevuta la notizia del decesso del marito, chiedeva di essere dimessa e, una volta giunta nella propria abitazione, decedeva per un arresto cardiocircolatorio.

L’Avv. Federico Lerro ed i collaboratori dello Studio Legale LDS, infatti, spiegano che “secondo la teoria della casualità adeguata, è possibile, in linea di massima, ottenere il risarcimento del danno, allorquando, il fatto lesivo risulta idoneo a produrre l’evento che cagiona il danno”.

La Suprema Corte osservando, da un lato, che la moglie della vittima aveva un quadro clinico già fortemente compromesso, da farne temere il decesso, probabilmente a distanza di poco tempo, e, dall’altro, che, nonostante ciò, la signora aveva scelto autonomamente di allontanarsi dal luogo di cura (ove probabilmente i Sanitari avrebbero potuto evitare che l’emozione del momento producesse un esito così esito letale), ha ritenuto rigettato il ricorso proposto dagli eredi.

La Corte di Cassazione ha così osservato: “in tema di responsabilità civile extracontrattuale, il nesso causale tra la condotta illecita ed il danno è regolato dal principio di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., in base al quale un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla scorta del quale, all’interno della serie causale, occorre dare rilievo solo a quegli eventi che non appaiano – ad una valutazione “ex ante” – del tutto inverosimili. Ne consegue che, ai fini della riconducibilità dell’evento dannoso ad un determinato fatto o comportamento, non è sufficiente che tra l’antecedente ed il dato consequenziale sussista un rapporto di sequenza temporale, essendo invece necessario che tale rapporto integri gli estremi di una sequenza possibile, alla stregua di un calcolo di regolarità statistica, per cui l’evento appaia come una conseguenza non imprevedibile dell’antecedente (Cass. civ. Sez. 3, 31 maggio 2005 n. 11609; Cass. civ. Sez. Lav., 14 aprile 2010 n. 8885; Cass. civ. Sez. 1, 23 dicembre 2010 n. 26042; Cass. civ. Sez. 3, 21 luglio 2011 n. 15991). Né vale osservare, come fanno i ricorrenti, che in tema di illecito civile il danneggiante risponde anche dei danni imprevedibili. In ordine al problema in oggetto viene infatti in rilievo una nozione di prevedibilità che è diversa da quella che attiene alle conseguenze dannose, a cui si riferisce l’art. 1225 cod. civ., e che è diversa anche dalla prevedibilità posta a base del giudizio di colpa, poiché essa prescinde da ogni riferimento alla diligenza dell’uomo medio, ossia all’elemento soggettivo dell’illecito, e concerne invece le regole statistiche e probabilistiche necessarie per stabilire il collegamento di un certo evento ad un dato fatto o comportamento. Nell’ambito di tale nozione di prevedibilità, sono risarcibili in tema di responsabilità aquiliana i danni che siano un effetto normale dell’illecito, in base al suddetto criterio della causalità adeguata (Cass. civ. n. 11609/2005, cit.). Salvo che sia fornita la prova specifica del contrario”.

Così, la Corte di Cassazione aderendo alla teoria del nesso di casualità adeguata ha valutato i predetti fattori del tutto estranei al sinistro stradale, stante l’impossibilità di ravvisare un nesso tra l’evento luttuoso e l’incidente stradale, quale suo antecedente.

Il decesso, nel caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte, doveva quindi considerarsi un evento indipendente dal comportamento del responsabile del sinistro e avulso da ogni sua possibilità di previsione e di controllo, quale appunto conseguenza immediata e diretta del fatto dannoso.  

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